Il contratto preliminare deve indicare al suo interno il termine finale entro il quale le parti hanno deciso di stipulare il rogito notarile di compravendita o contratto definitivo.
Con il contratto preliminare o compromesso le parti si impegnano a stipulare un futuro contratto: il definitivo.
Vi è un uso ricorrente di inserimento di un termine essenziale per la stipula del contratto definitivo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c. “Termine essenziale per una delle parti”:
“Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni.
In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione”,
Ne deriva che, in difetto di stipula del rogito notarile definitivo, entro il termine essenziale pattuito, il contratto preliminare si intenderà risolto di diritto per inadempimento della parte a cui è imputabile la mancata stipula.
Tuttavia la risoluzione del contratto ad opera del termine essenziale non è così automatica e scontata.
La giurisprudenza è intervenuta in più occasioni su questa disposizione normativa al fine di chiarirne ed interpretarne il contenuto e la portata delle sue conseguenze.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha rilevato infatti precisi limiti nelle clausole sul termine essenziale che vengono inserite nelle compravendite immobiliari:
1. l’essenzialità del termine è valutata non solo sulla base delle espressioni adoperate dai contraenti ma, soprattutto, sulla base della natura e dell’oggetto del contratto, ove risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di «ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo»;
2. espressioni come «entro e non oltre» sono reputate clausole di stile e, pertanto, non sono sufficienti a conferire al termine pattuito, valore di essenzialità ai sensi dell’art. 1457 c.c.. Questo tipologia di clausola non determina quindi la risoluzione automatica del contratto.
Infatti la Suprema Corte e la giurisprudenza di merito ha rilevato quanto segue:
“Il termine per l’adempimento di un contratto può essere ritenuto essenziale, ai sensi dell’art. 1457 cod. civ., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata”. Corte appello Venezia sez. III, 31/01/2020, n.300
“L’essenzialità del termine per l’adempimento, ex art. 1457 c.c., non può essere desunta solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, riferita al tempo di esecuzione della prestazione, ma implica un accertamento da cui emerga inequivocabilmente, alla stregua dell’oggetto del negozio o di specifiche indicazioni delle parti, che queste abbiano inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l’utilità prefissatasi; in ogni caso, la previsione di un termine essenziale per l’adempimento del contratto, essendo posta nell’interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata di rinunciare, seppur tacitamente, ad avvalersene, anche dopo la scadenza del termine, in particolare accettando un adempimento tardivo.” Cassazione civile sez. II, 10/12/2019, n.32238
“L’accertamento in ordine alla essenzialità del termine per l’adempimento, ex art. 1457 c.c., è riservato al giudice di merito e va condotto alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo, che non può essere desunta solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, riferita al tempo di esecuzione della prestazione, se non emerga, dall’oggetto del contratto o da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l’utilità prefissatasi (Sez. 3, n. 14426, 15/7/2016)” .
Cass. civ. Sez. II, Sent., 09-10-2018, n. 24894.
«Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 cod. civ., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata». Cass. civ., sez. II, 17-3-2005, n. 5797.
Alla luce di quanto sopra esposto è evidente che, in mancanza della espressa pattuizione e previsione di un termine essenziale per la stipula del contratto definitivo, alla parte interessata spetterà un rilevante onere probatorio per sciogliere il preliminare. Vale a dire che si dovrà dimostrare in modo fermo e argomentato che il ritardo “superi ogni ragionevole limite di tolleranza”, tale da costituire grave inadempimento per colui che non ha rispettato il ternmine essenziale, ai fini risolutori.
“Ad avviso del Collegio il motivo appare fondato quanto alla dedotta violazione dell’art. 1453 c.c. Ed, infatti, pur a fronte di un termine da reputarsi non essenziale per l’adempimento delle obbligazioni poste a carico della controricorrente, l’iniziale tolleranza della committente non vale di per sé a determinare un assoluto esonero da responsabilità per l’eventuale protrarsi del ritardo una volta esaurito il periodo di tolleranza accordato dalla controparte. Anche a voler ritenere sulla scorta dell’istruttoria svolta …che fosse stata concordata una deroga al termine iniziale …, ciò non consentiva di ritenere che tale iniziale accordo fosse idoneo ad esentare da responsabilità la convenuta anche per il ritardo protrattosi oltre il tempo concordato, dovendosi a tal fine far richiamo alla giurisprudenza di questa Corte in base alla quale (cfr. ex multis Cass. n. 22346/2014; Cass. n. 1773/2001; Cass. n. 7083/2006) una protratta tolleranza del ritardo della controparte costituisce solo uno degli elementi da valutare ai fini dell’accertamento della gravità dell’inadempimento, potendo se del caso concorrere ad attenuarne l’intensità, ma non potendo di per sé escludere la ricorrenza dell’inadempimento ove protrattosi oltre la tolleranza del creditore. In tale ottica si è altresì precisato che (cfr. Cass. n. 4314/2016) l’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per l’esecuzione di un’obbligazione, pur impedendo, in mancanza di una diffida ad adempiere, la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 c.c., non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza, ossia se il ritardo superi ogni ragionevole limite di tolleranza, occorrendo avere riguardo all’oggetto ed alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, ed al persistente interesse dell’altro contraente alla prestazione dopo un certo tempo (conf. Cass. n. 10127/2006)” Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., 05-06-2018, n. 14409.