I poteri riconosciuti al chiamato all’eredità destinatario di una delazione attuale, prima dell’accettazione ereditaria

I poteri di vigilanza, conservazione e amministrazione temporanea del patrimonio ereditario attribuiti dal Codice Civile al delato: nozione, funzione, finalità, limiti ed esempi pratici

L’articolo 460 del Codice Civile riconosce al delato, oltre alla possibilità di esperire azioni possessorie a difesa dei beni ereditari, i poteri di conservazione, amministrazione temporanea e vigilanza dell’eredità non ancora accettata, indipendentemente dal materiale possesso dei beni del de cuius, avendone comunque egli conseguito, immediatamente, il possesso giuridico.

La finalità della disposizione in questione è quindi quella di assicurare innanzitutto la custodia del patrimonio dell’ereditando dal momento dell’apertura della successione fino all’atto di accettazione della stessa.

Va precisato, sin da subito, che la norma in discorso rappresenta un’evidente eccezione alla previsione contemplata dall’art. 476 cod. civ., posto che l’ordinamento giuridico consente al chiamato a cui sia stata concretamente offerta l’eredità, di porre in essere gli atti considerati indispensabili alla preservazione del compendio ereditario senza che ciò debba inevitabilmente comportare accettazione tacita dell’eredità medesima.

Va inoltre osservato che l’art. 460 del codice di diritto sostanziale, al fine di evitare che l’esercizio dei poteri riconosciuti al chiamato arrivi ad integrare la fattispecie giuridica dell’accettazione tacita del compendio ereditario, stabilisce precisi limiti che il delato ha l’onere, per quanto non l’obbligo, di rispettare.

In tale contesto, l’attività di vigilanza svolta dal soggetto designato alla successione, rappresentando primariamente la fase preparatoria dell’attività di amministrazione, corrisponde al complesso di quegli atti aventi natura sostanzialmente cautelare, finalizzati all’identificazione dell’esatta entità dell’asse ereditario e a ravvisare l’esistenza di eventuali insidie per i beni patrimoniali del de cuius, così da consentire, all’occorrenza, l’assunzione di opportune misure di carattere conservativo.

Tra gli esempi di atti di vigilanza che è possibile segnalare vi sono, certamente, le verifiche di scritture contabili e registri, la visione di documenti, nonché la formazione dell’inventario nei tre mesi successivi all’apertura della successione, in mancanza della quale, come è noto, il delato che fosse materialmente in possesso di beni ereditari verrebbe considerato, ai sensi dell’art. 485 cod. civ., erede puramente e semplicemente.

È invece diretta a scongiurare il danneggiamento e la perdita dei beni dell’eredità, l’attività di conservazione, il cui principale obiettivo è, per l’appunto, quello di preservare il valore giuridico dell’asse.

Rappresentano casi di atti conservativi dell’eredità, la rinnovazione di ipoteche prima del decorso del termine ventennale di estinzione delle relative iscrizioni previsto dall’art. 2847 cod. civ., la trascrizione nei registri immobiliari di un atto di acquisto effettuato dal de cuius, e tutti gli atti interruttivi di usucapione e prescrizione.

L’esercizio del potere di conservazione dei beni de cuius è però escluso nel caso in cui, in virtù dell’articolo 528 cod. civ., d’ufficio o su richiesta dei soggetti interessati, il tribunale del circondario di apertura della successione abbia designato un curatore dell’eredità giacente.

Quanto, infine, all’attività di amministrazione temporanea, si osserva che, al riguardo, è possibile distinguere tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione, il cui scopo è comunque sempre quello di salvaguardare il valore economico del compendio dei beni ereditari.

In proposito, è bene nondimeno segnalare che se, per un verso, risulta essere pacifico che l’attività di ordinaria amministrazione corrisponda all’azione diretta a far fruttificare il compendio ereditario così da utilizzare i relativi guadagni per sostenere le spese necessarie alla regolare gestione dell’asse, per altro verso, è opinione soltanto di una parte, per quanto significativa, dell’elaborazione teorica che di atti di straordinaria amministrazione si possa parlare esclusivamente in relazione a quegli atti che riguardano beni che non è possibile pretendere di far permanere nel patrimonio dell’ereditando, o che possono rimanervi unicamente a costo di un grande dispendio di risorse.

Esiste infatti un’altra parte della riflessione dottrinale che sostiene che rispettando i limiti posti dalla normativa civilistica vigente in materia, possano porsi in essere atti di straordinaria amministrazione di qualsiasi genere, purché finalizzati alla conservazione dell’asse ereditario.

Resta comunque inteso che ai sensi dell’articolo 747 c.p.c., al chiamato all’eredità sarà consentito il compimento di atti di tale natura solamente previa autorizzazione del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.

Ma c’è di più. Invero, posto che il delato nel contesto di cui è parola, agisce esclusivamente a salvaguardia del proprio interesse particolare e non assume perciò lo specifico ruolo né di curatore, né di amministratore del compendio ereditario, egli, secondo l’insegnamento dottrinario maggioritario, ha il potere, e non l’obbligo, di gestire i beni dell’eredità. Con la conseguenza, che nessuna responsabilità gli potrà mai essere imputata o rimproverata nell’ipotesi di mancata amministrazione dei beni in questione, e che, ad ogni buon conto, procedendo costui unicamente a tutela del proprio tornaconto personale e non per l’utilità altrui, per l’attività eventualmente svolta non dovrà essergli riconosciuto nessun tipo di compenso. Tuttavia, in ossequio alla lettera dell’art. 461 cod. civ., ove il chiamato decida di rinunziare all’eredità offertagli, avrà diritto al rimborso delle spese di conservazione e di amministrazione sostenute.

Ciò chiarito, giova ulteriormente rammentare che qualora il testatore, avvalendosi delle prerogative riconosciutegli dall’articolo 700 cod. civ., abbia proceduto alla nomina di uno o più esecutori testamentari, per il delato resta comunque la possibilità di esercitare i poteri attribuitigli dall’ordinamento prima dell’accettazione, in relazione a quei beni e a quei cespiti rispetto ai quali l’esecutore non è tenuto ad esercitare la sua funzione.

Ma anche nel caso in cui sull’esecutore testamentario gravasse l’obbligo di amministrare tutti i beni ereditari, residuerebbe per il chiamato all’eredità non solo il potere di domandarne l’esonero – con istanza indirizzata all’autorità giudiziaria – per gravi irregolarità nell’espletamento del suo ufficio o per le altre ragioni indicate dall’art. 710 cod. civ., ma anche il potere di vigilanza sia sulla formazione dell’inventario che sull’apposizione dei sigilli, in conformità con le previsioni normative di cui all’art. 705 cod. civ.

Ove, però, dovesse sorgere la necessità di alienare beni ricompresi nell’asse ereditario, lo stesso esecutore testamentario, a termini dell’art. 703 cod. civ., sarebbe tenuto a domandare la relativa autorizzazione al giudice delle successioni, il quale potrebbe provvedere al riguardo soltanto dopo aver sentito gli eredi, ma non i delati, non essendo questi ultimi ancora titolari del compendio ereditario.

Non è quindi superfluo ribadire in conclusione, a maggior chiarezza, l’importanza della regola secondo la quale i poteri di vigilanza, di amministrazione temporanea e di conservazione assegnati al delato dalla normativa in esame, incontrano un limite insormontabile nella proibizione di porre in essere, senza la necessaria autorizzazione giudiziale, atti dispositivi dei beni ereditari, nonostante tali atti possano riguardare beni non conservabili perché deperibili, o la cui conservazione risulti oltremodo onerosa, comportando riparazioni dispendiose o spese eccessive. In caso contrario, infatti, il delato medesimo decadrebbe sia dalla facoltà di rinunciare all’eredità, ai sensi dell’art. 527 cod. civ., sia dalla possibilità di accettarla con beneficio d’inventario, a termini dell’art. 493 dello stesso codice di diritto sostanziale.

Studio Legale Mauro