L’indegnità a succedere quale causa di esclusione dalla successione dichiarata dal giudice: fondamento dell’istituto, natura giuridica, tassatività delle ipotesi di indegnità e conseguenze pratiche

L’indegnità a succedere: il presupposto dell’incompatibilità morale tra l’indegno e il de cuius, la sanzione civilistica dell’esclusione dalla successione, il destino degli atti di amministrazione del patrimonio ereditario compiuti dall’indegno, l’esercizio dell’azione di accertamento dell’indegnità in relazione alla decadenza dalla responsabilità genitoriale e agli attentati alla persona fisica, all’integrità morale e alla libertà di testare dell’ereditando, la restituzione dei beni ereditari e dei frutti percepiti dall’indegno.

L’indegnità a succedere, intesa quale causa di esclusione dalla successione, rappresenta una sanzione civilistica comminata dall’autorità giudiziaria al vocato all’eredità che si sia reso responsabile di comportamenti specificamente previsti dalla vigente normativa codicistica, che l’ordinamento considera riprovevoli in base alla formulazione di un preciso giudizio di biasimo morale.

Il fondamento dell’istituto giuridico in questione è quindi costituito dall’incompatibilità morale tra il defunto e l’indegno che si ritiene non meritevole di succedere al de cuius, reputandosi socialmente iniquo che vantaggi di ordine patrimoniale nei confronti dell’ereditando possano essere perseguiti da chi, nei suoi riguardi, ha compiuto atti gravemente pregiudizievoli.

Per quanto concerne invece la natura giuridica dell’istituto in esame, va segnalato che a parere di una parte dell’elaborazione teorica, sostenuta in ciò dal recente insegnamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione, l’indegnità rappresenterebbe, come più sopra ricordato, una causa di esclusione dalla successione dichiarata dall’autorità giudiziaria con sentenza costitutiva, che provocherebbe il venir meno della delazione ereditaria con effetto retroattivo, ponendo nel nulla gli effetti dell’accettazione e facendo sì che l’indegno si consideri come se non fosse mai subentrato per successione nella posizione del de cuius.

Esiste, però, un’altra parte della riflessione dottrinale a giudizio della quale l’indegnità costituirebbe, invece, un’incapacità di succedere relativa accertata con sentenza dichiarativa – e non costitutiva – che renderebbe l’indegno incapace di succedere a partire dal momento stesso dell’apertura della successione.

La persona dichiarata indegna alla successione, prima della pronuncia della sentenza di indegnità può non solo procedere all’accettazione del compendio ereditario, ma anche fare uso dei poteri di conservazione del patrimonio ereditario non ancora accettato, di cui tratta l’articolo 460 cod. civ.

Mette quindi conto evidenziare, con riferimento all’esercizio di detti poteri, che gli atti di amministrazione dell’asse ereditario posti in essere dall’indegno a succedere, restano confermati soltanto quando si tratti o di atti di ordinaria amministrazione, o di atti di straordinaria amministrazione a titolo oneroso a cui sia possibile applicare la normativa sull’erede apparente prevista dall’articolo 534 del Codice Civile. Decadono, invece, tutti gli altri atti di straordinaria amministrazione a titolo oneroso o gratuito.

Posto che, come detto, l’indegnità non consegue in modo automatico, ma in virtù della pronuncia di un giudice, al fine di estromettere l’indegno dall’eredità occorre esercitare con successo l’azione di accertamento dell’indegnità, il cui termine di prescrizione è fissato in dieci anni a decorrere dall’apertura della successione o dal fatto illecito del chiamato ove successivo a quel momento.

Mentre la legittimazione attiva all’esercizio di tale azione è riconosciuta a chi possa vantare un interesse di ordine patrimoniale nei riguardi dell’eredità, ossia a quanti possano potenzialmente divenire destinatari della delazione ereditaria in luogo dell’indegno, la legittimazione passiva spetta invece a colui che abbia effettuato l’accettazione, espressa, tacita o presunta, del patrimonio ereditario.

Qualora l’indegnità riguardi il delato, sarà possibile esperire, in via preliminare, la c.d. “actio interrogatoria”, prevista e disciplinata dall’articolo 481 cod. civ., mediante la quale chiedere all’autorità giudiziaria di indicare un termine anteriore a quello decennale stabilito per la prescrizione, entro il quale il delato stesso sia tenuto a dichiarare la propria volontà di accettare o rinunciare all’eredità. Soltanto dopo quindi, ove naturalmente il chiamato dovesse optare per l’accettazione, sarebbe possibile agire in giudizio allo scopo di farne dichiarare l’indegnità.

Resta ancora da precisare che il soggetto dichiarato indegno a succedere al de cuius è tenuto alla restituzione non solo dei beni ereditari, ma anche dei frutti percepiti dal momento dell’apertura della successione, essendo egli equiparato al possessore di mala fede.

L’articolo 463 cod. civ. elenca quindi, nello specifico, le seguenti ipotesi di indegnità per il successibile, che sono da considerarsi tassative.

1) Gli attentati alla persona fisica dell’ereditando: è infatti considerato indegno chi, volontariamente, abbia ucciso o tentato di uccidere il de cuius, ovvero il coniuge, un ascendente o un discendente dello stesso, o abbia perpetrato nei confronti di costoro un fatto al quale l’ordinamento ritiene applicabili le norme sull’omicidio (è il caso, per esempio, del reato previsto e punito dall’articolo 580 cod. pen., che disciplina e sanziona l’istigazione al suicidio in danno di un soggetto privo della capacità di intendere o di volere, o di una persona minore degli anni quattordici).

La disposizione normativa in questione, pertanto, richiede per il reo, l’esistenza del dolo, ossia della previsione e della volontà dell’evento quale effetto del proprio comportamento. Ne deriva, che non sarà mai possibile ricomprendere tra le cause di indegnità né l’omicidio colposo, né l’omicidio preterintenzionale.

Sotto altro profilo, va poi segnalato che presupposto dell’applicabilità dell’istituto giuridico in questione è che il successibile risulti essere quantomeno mandante o concorrente nella commissione del delitto, non essendo invece richiesto che ne sia anche l’autore materiale.

2) Gli attentati alla libertà di testare dell’ereditando. È così da considerarsi indegno a succedere colui che: a) dolosamente o con violenza, abbia spinto il testatore a modificare o revocare la scrittura testamentaria, sebbene il semplice tentativo di conseguire un tale risultato non possa costituire in alcun modo causa di indegnità; b) abbia redatto un testamento falso o se ne sia avvalso nella consapevolezza della sua falsità, al fine di procurare a sé un vantaggio arrecando un danno ad altri; con la conseguenza, per un verso, che ove la scrittura testamentaria non presenti disposizioni di carattere patrimoniale, le condotte sin qui descritte non potranno rendere indegno il soggetto agente, e, per altro verso, che per la dichiarazione di indegnità a succedere sarà necessaria una concreta difformità tra la reale volontà dell’ereditando e le previsioni del testamento falsificato; c) abbia volontariamente occultato, distrutto o alterato una scheda testamentaria valida, tenuto conto, in proposito, che il mero tentativo di realizzare un obiettivo siffatto non genera indegnità, e che, comunque, non sono in grado di eliminare l’indegnità del successore né l’eventuale ritrovamento dell’atto di ultima volontà, né la ricostruzione dello stesso.

3) Gli attentati all’integrità morale dell’ereditando: è ritenuto indegno e quindi non meritevole di succedere al de cuius, chi abbia denunciato in modo calunnioso la persona della cui eredità si tratta, il coniuge, un ascendente o un discendente della stessa, ovvero abbia testimoniato il falso contro costoro in relazione a delitti sanzionati con la pena dell’ergastolo o con quella della reclusione non inferiore, nel minimo edittale, a tre anni.

Resta da precisare, al riguardo, che a dispetto di quanto avviene nei casi di indegnità conseguenti ad attentati alla persona fisica del de cuius o dei suoi congiunti, relativamente ai quali la valutazione del giudice civile risulta essere indipendente dal giudizio penale, il reato di calunnia o la falsità della testimonianza di cui qui si tratta, devono essere necessariamente accertati in sede penale con una pronuncia di condanna irrevocabile, non essendo consentito all’autorità giudiziaria civile di effettuare in modo autonomo accertamenti del genere.

4) La decadenza dalla responsabilità genitoriale: è reputato indegno a succedere colui che dopo essere decaduto, in virtù del disposto di cui all’articolo 330 cod. civ., dalla responsabilità genitoriale nei riguardi dell’ereditando, al momento dell’apertura della successione, non risulti reintegrato nella potestà riconosciuta dall’ordinamento ai genitori di istruire, educare e proteggere il figlio minorenne, tutelandone gli interessi.

Nel caso però in cui il figlio deceda in un tempo successivo al raggiungimento della maggiore età, a giudizio di una parte della dottrina la pronuncia giudiziale di decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli resterebbe priva di efficacia, e il genitore, pertanto, non potrebbe più essere considerato indegno a succedere. Per contro, un diverso orientamento dell’elaborazione teorica ritiene che in mancanza di una riabilitazione espressa e irrevocabile, l’indegnità non verrebbe meno.

La dichiarazione giudiziale di indegnità comporta la possibilità di applicazione di istituti successori quali la sostituzione testamentaria, la rappresentazione e l’accrescimento, e ove l’operatività di detti istituti, nello specifico caso preso in esame, sia da escludere, il patrimonio ereditario sarà devoluto agli eredi legittimi del defunto.

Rileva infine sottolineare che il codice di diritto sostanziale, al fine di evitare che l’indegno possa trarre anche soltanto un vantaggio indiretto dalla successione ereditaria, prevede l’operatività di specifiche cautele che, per esempio, impediscono alla persona che si ritiene non meritevole di succedere al defunto, di esercitare i diritti di usufrutto legale e di amministrazione che spettano di norma al genitore, sui beni ereditari acquistati dai figli, direttamente o per rappresentazione, in seguito alla morte dell’ereditando stesso.

Studio Legale Mauro